Broken China – Richard Wright

L’album Broken China, del 1996, è l’ultimo lavoro solista di Richard Wright e racconta la storia di un’altrui vita che improvvisamente diventa preda della depressione, la malattia invisibile e tormentosa, inspiegabile ed ostinata.

Nonostante la dura tematica affrontata, questo è il disco che ha riconciliato Rick con la musica a due anni dall’uscita dell’album The Division Bell a marchio Pink Floyd, sull’onda dell’evidente avanzo di idee e ritagli che lo stesso Wright aveva ammesso di avere.

Enigmatico e malinconico, l’album è il tentativo di fissare e organizzare pensieri, sentimenti e ricordi del tragico accadimento menzionato.
La composizione è distribuita in sedici parti, raggruppati in quattro macro temi, che si susseguono in un incedere di emozioni come solitudine, nostalgia, malinconia, rese al meglio anche grazie all’uso di strumenti capaci di rendere tangibili le emozioni e di solidificare i sentimenti.
È proprio sulle emozioni suscitate da questo percorso doloroso che tutto l’album gioca, ed è infatti difficile estrapolare dei brani cardine, poiché – trattandosi di un concept – essi sono tutti estremamente interconnessi, da fruire in sequenza, preferibilmente senza interruzioni di sorta.
Wright è, per noi fan, colui che ha dato colore ai pezzi floydiani, caratteristica che riconosciamo anche in questo lavoro. In particolare, è notevole la polivalenza dell’opera a tutto tondo che investe una molteplicità di livelli percettivi, intellettuali ed esistenziali, con ricadute sul piano della creazione e del fare musica.
Ascoltando attentamente l’unicum interiore che scaturisce da questo LP, emerge chiaramente come le emozioni siano così forti che la stesura dei pentagrammi diventa luogo di scontro ed incontro di ciò che pervadeva l’io del protagonista del racconto in quel momento, e siamo sicuri che Rick fosse alla ricerca di ascoltatori ideali, in grado di capire tutto senza spiegazioni.

Le solenni e suggestive canzoni che formano l’album, finiscono di diritto nel campo del realismo e dell’introspezione psicologica, e risulta chiaro quanto sia stato difficile vergare sul pentagramma le ossessioni meno digeribili.
Ciò che resta costante durante tutto lo svolgersi dell’album è l’indagine sull’esperienza del dolore e del trauma, e possiamo dire che la sua opera suggerisce la paradossale persistenza di un meccanismo che gira a vuoto, ingenerando in noi quella disarmante sensazione del “tanto è tutto inutile“.
Il luogo descritto, dalle chiare atmosfere floydiane, ci risulta del tutto destabilizzante e nebuloso con una dissolvenza che resiste a qualsiasi classificazione, mentre l’orizzonte degli eventi sembra inespugnabile e pronto a farci soccombere.
Il surreale fa capolino negli intrecci di forme e soggetti che le sue musiche suscitano in noi ascoltatori mentre, tramite la sua cifra stilistica, riconosciamo nell’album tutto l’universo psicologico ed emotivo che l’ha generato.


Ho sempre trovato estremamente evocativo l’artwork della copertina che il buon Storm Thorgerson ha pensato per l’album e che trovo dannatamente azzeccato. Difatti la fragilità umana, qui rappresentata dalla ceramica che esplode in mille pezzi, rende palesemente conto del difficile equilibrio interno di ciascuno di noi.
Come per The Dark Side of The Moon, anche qui viene evocato un definitivo cambio di stato di una entità che, attraversando un mezzo, un accadimento o in generale un aspetto della propria vita, ne esce completamente trasformato dall’altra parte.
Ma se nel ’73 era la luce a uscirne rifratta dal prisma scoprendone le componenti nascoste, in Broken China è l’essere umano ad uscirne a pezzi dallo spaventoso male liquido protagonista dell’album ed in questo la copertina dell’album rende eloquentemente tale sensazione.
Personalmente trovo i brani Reaching for the Rail, con la voce di Sinead O’Connor, Blue Room In Venice e Sweet July, con la dolce chitarra di Dominic Miller, un trittico particolarmente toccante che spesso rende lucidi i miei occhi, facendo vibrare, senza quasi accorgermene, corde sensibili dell’animo più profondo.
Segnalo una eccezionale esecuzione live di Breakthrough, brano di chiusura dell’album, dove Rick in forma smagliante duetta al concerto di David del 2002 con la concessione di un assolo di chitarra inedito, espressivo come non mai e al quale siamo piacevolmente abituati.