Guardando la versione di “A Saucerful of Secrets”, girata nell’anfiteatro di Pompei nel 1971, già dai primi istanti ci si accorge di quale fosse l’alchimia tra i membri della band, fenomeno che rimane inalterato durante l’intera esecuzione del brano.
La prima parte, di concezione puramente psichedelica, è un turbinio di libertà individuali ben incanalate nel progetto comune, un processo creativo in cui ciascun componente del gruppo dà libero sfogo alle proprie abilità e dove l’inventiva di sicuro non manca.
La ricerca di nuove sonorità e di ricercati incastri portano a pentagrammi mai visti prima e che mai più si ripeteranno uguali, una caratteristica che avrebbe permeato ininterrottamente il lavoro artistico di tutti i membri della band.
La composizione tramuta in suono i vapori sulfurei che si sprigionano dalle profondità flegree, uno spettacolo multi-sensoriale magistralmente orchestrato da Adrian Maben, dove le immagini che scorrono accompagnano l’immaginario/immaginifico sonoro completandolo ed esaltandolo.
Ciascuno strumento, specialmente chitarra e tastiera, viene suonato in totale libertà producendo suoni fuori dall’ordinario.
L’ascoltatore è immediatamente proiettato in qualcosa di nuovo dal sapore marcatamente onirico fino alla deflagrazione di gong che Roger percuote quasi a voler esprimere e liberare la rabbia repressa, accumulata fin dal primo minuto.
Al 5° minuto ci pensa Rick a mettere ordine con una entrata di tastiera quasi di soppiatto, ma che riporta ad un ordine solo apparentemente convenzionale gli altri membri del gruppo e distendendo davanti a loro accordi vellutati ad indicare, così, la nuova via maestra. |
David pennella sulla tela ancora qualche colore acido di stratocaster fino a quel momento quasi maltrattata e spremuta fino all’osso per ognuna delle sue sei corde.
Nick alla batteria rimane un forsennato, non ancora pago dell’incredibile esecuzione della prima parte, continuamente focalizzato a percuotere le pelli ed i piatti in preda ad un qualcosa di molto simile ad un’estasi mistica.
Il cantato è affidato a David che comprime e stira fino all’inverosimile vocalizzi assurgendo a quinto strumento e spingendo l’esecuzione verso l’apice finale, la cui armonia maggiore suona di promessa di paradiso.
La suite si chiude con una certezza: questo pezzo è il preludio a qualcosa di immenso che vedrà la luce nel 1973.