Time

Time è il capolavoro assoluto dei Pink Floyd.

Time è prima di tutto il capolavoro lirico di Roger.

Il turbolento visionario dei Pink Floyd scrive nel 1973 (o forse meglio dire un po’ prima data l’allora consolidata abitudine dei Floyd di presentare il materiale al pubblico prima dell’effettiva uscita in un album) uno dei testi più profondi e commoventi della sua carriera, raggiungendo a nostro parere personale l’apice della sua capacità espressiva e poetica.

Il brano si sviluppa idealmente lungo il percorso di vita di un individuo, dalla gioventù alla mezza età ed infine al declino finale che porta alla morte. Dapprima scanzonato e annoiato al punto da buttare via il proprio tempo in inutili e futili attività, tra una strofa e l’altra il protagonista della storia diventa adulto ed esterna – attraverso la penna di Roger – riflessioni che ci lasciano scossi da una cocente e ineluttabile verità.

Rincorrere il sole (relativamente) eterno ed uguale a sé stesso è la metafora dell’inseguire quotidiano delle mete che noi stessi – come automi – ci addossiamo, inconsapevoli (o forse colpevolmente indolenti) delle scelte (fatte o mancate) che accompagnano il nostro tempo verso la fine.

E’ forse eccessivamente pessimista, Roger, quando con un verso tagliente e sconvolgente caratterizza la fine di questa fase come nient’altro che una sequenza di giorni – uguali a se stessi – che ci avvicinano alla meta finale, fissata dal nostro destino. Ma questo pessimismo annichilisce l’ascoltatore scuotendo la sua coscienza e rendendolo consapevole che solo le proprie scelte possono spostare in avanti (o all’indietro) quel punto finale.

Ma è la strofa finale, cantata da Rick, a far raggiungere l’apice lirico al pezzo. Chiunque abbia un’età che si collochi nella canonica “età di mezzo”, e che abbia contemporaneamente anche un minimo di anima senziente, non può che sentirsi assalire dalla pelle d’oca per come Roger ha incastonato in pochi versi le tipiche sensazioni e gli insistenti pensieri di quest’epoca della vita.

Gli anni sempre più corti, la lista delle cose che vorremmo fare che si allunga e che si annacqua in poche righe tracciate a mala pena e l’ineluttabile autoconsapevolezza finale, che arriva esattamente un momento prima della morte, che si sarebbe potuto fare meglio e di più durante il nostro “tempo”.

Tutto ciò Roger lo scrive quanto ha circa 30 anni, con un incredibile livello di empatia per la condizione umana che va ben al di là e oltre la sua supposta maturità come individuo, e che lo fa assurgere a poeta popolare di valore assoluto.

Time è poi anche il capolavoro musicale del gruppo.

Al di là del fatto che la mera attribuzione autoriale a tutti e quattro i membri è una delle poche osservabili nell’intera loro carriera, Time è l’esempio cristallino di una fusione creativa e di intenti che realizza il concetto, molto più tardi da loro stessi celebrato, che sta dietro all’espressione “the Sum is greater than the parts”.

L’architettura del brano è regolare e classica: introduzione, strofa, inciso, assolo, strofa, inciso, uscita (Breathe – reprise). Ma dietro le apparenze di questo classicismo, per altro ispirato alla generale struttura dei brani rock & roll, il quartetto costruisce pezzo dopo pezzo una sontuosa e unica struttura ritmica, armonica e melodica. L’armonia e il bilanciamento dei contributi di ciascuno sono unici in tutta la loro carriera.

Il brano trova radici nella realtà, nell’incedere meccanico di una pletora di orologi che sfociano in una sorta di sveglia pungente e penetrante, e che portano l’ascoltatore dalle atmosfere oniriche di On The Run alla concretezza impietosa della quotidianità.

L’introduzione al rototom di Nick, al di là della perfetta scansione ritmica ed esecutiva, ha un ruolo essenziale nel pezzo: introduce il concetto del noioso passare del tempo. A chiunque sia capitato di ascoltare Time per più di qualche volta non sarà sfuggito (sebbene con la giusta dose di vergogna per il fatto stesso do averlo pensato) come questa parte risulti a lungo andare … ebbene sì … noiosa. La sensazione, netta, è che non finisca mai. Un errore interpretativo? Un eccessivo indugiare sui propri passi? No, personalmente crediamo che questo effetto rientri a pieno nell’intenzione autoriale: al di là degli schemi ovvi che pretendono che i brani pop e rock siano orecchiabili e mai noiosi, la band decide di entrare in una modalità di espressione artistica che “usa” la musica come sublimazione espressiva dei concetti.

L’incipit canoro del brano rapisce letteralmente. La chiarezza narrativa di Roger trova perfetta risonanza con la brillante voce rock di David che sbatte in faccia all’ascoltatore – con colori e sonorità vivide e una melodia abbacinante – la storia che si vuole rappresentare. Il percorso di sublimazione trova un pianoro di estatica serenità quando Rick contrappunta con la sua voce, di timbro e dinamica diametralmente opposti, l’inciso introspettivo di Roger su una rinfrancante e rinfrescante struttura armonica di settime maggiori.

E poi David.

Se negli anni intercorsi tra il 1968 e il 1973 raramente David brilla per interventi solistici, in Time egli consegna ai posteri l’esordio di una storia chitarristica tra le più iconiche del ‘900. L’assolo è semplicemente perfetto. Per struttura, per esecuzione, per produzione, per le idee musicali essenziali e inevitabili eppure così originali, per narrazione, per innovazione effettistica. Con Time nasce David Gilmour come “voice and guitar of Pink Floyd”. E questo assolo è anche allo stesso tempo il centro diacronico e cronologico della loro carriera, accadendo a sei anni dai primi vagiti di “The Piper at the Gates of Dawn” e sei anni prima della dissoluzione artistica della loro prima fase storica, certificata dai concerti di “The Wall”.

Il brano, specularmente, si avvia in una discesa emotiva verso la risoluzione naturale nella ripresa di Breathe, che può essere considerata sia come una specie di chiosa del pezzo che della stessa prima parte dell’album.

Time è, secondo noi, l’essenza delle motivazioni per le quali si amano i Pink Floyd. Spartiacque tra “prima” e “dopo”, a buona ragione è l’apice assoluto della loro carriera artistica. Dopo Time, quasi come preconizzato fin dal titolo, nulla e in nessun senso nei Pink Floyd è più uguale a prima.

Almeno per me …