High Hopes

High Hopes è il capolavoro della maturità dei Pink Floyd.

Il pezzo, scritto a quattro mani da David e Polly, è innanzitutto un perfetto contraltare tematico e lirico a Time, la cui centralità nel percorso artistico della band è stata già trattata.

L’introduzione del pezzo è speculare, al giusto livello di astrazione (che si raggiunge solo dopo molti ascolti comparati), all’introduzione di Time. Al ticchettio ossessivo degli orologi si contrappone l’incedere inevitabile e inesorabile della campana e il contrappunto del pianoforte rintocca la melodia essenziale della chitarra.

Ma è dal punto di vista lirico, all’esordio cantato di David, che il riferimento diventa ancora più evidente. Le prime parole del brano sono come pronunciate dal protagonista di Time, che cresciuto e maturo guarda all’indietro il proprio cammino ormai oltre l’orizzonte dei propri eventi.

Beyond the horizon of the place

we lived when we were young

Lo spartiacque generato da Time è ora lontano, oltre l’orizzonte, ma l’eco lirica è ancora perfettamente udibile dal protagonista e di riflesso dall’ascoltatore. Il racconto intimista che si snoda a partire da queste prime parole narra di ricordi e rimorsi, di prati più verdi, di solide amicizie, di luce più pura. Insomma, è la giovinezza ad essere ricordata e tirata in ballo, ma in un contesto armonico (in tono minore) che fa da contraltare ad essa, emanato dalla condizione attuale del protagonista. Alla splendida crudezza espressiva di Roger si sostituisce tuttavia quella morbida e – senza dubbio – molto più allettante di Polly. Quasi a suggerire un’interpretazione alternativa e parallela della seconda parte della vita rispetto a quella del capolavoro assoluto del 1973.

La narrazione esplicita delle parole lascia, al centro del brano, ampio spazio alla narrazione evocativa della musica, espletata da un emblematico assolo alla chitarra classica di David (probabilmente l’unico in tutta la sua carriera ufficiale). Le frasi ascendenti dell’assolo suonano come dei tentativi del protagonista di andare oltre quei ricordi, di proseguire il proprio cammino, tutto sommato ancora lungo. Ma le frasi discendenti, che si accoppiano alle prime “riportando a capo” la linea melodica, rigettano indietro lo sguardo, facendoci letteralmente rotolare di nuovo in quella condizione di rimembranza nostalgica da cui è quasi impossibile, per ciascuno di noi, scappare. L’uscita dall’assolo è solo apparentemente risolutiva poiché il rintocco della campana riporta alla medesima condizione iniziale.

Il testo dell’ultima strofa testimonia quindi la rassegnazione di chi ha seguito questo percorso interiore:

Encumbered forever by desire and ambition

there’s a hunger still unsatisfied.

Our weary eyes still stray to the horizon

though down this road we’ve been so many times.

Impantanati nel desiderio e nell’ambizione della mezza età non si è ancora realizzato a pieno quale sia il vero significato della vita, anche se a richiamarci costantemente verso di esso è l’ineluttabile istinto vitale figlio della nostra giovinezza.

L’assolo finale è a parere di chi scrive tra i più belli di David. Tralasciando a commentatori più abili a discernere sulla tecnica alla slide gli aspetti relativi alle abilità esecutive, l’assolo è un concentrato di spinte emozionali alle quali è difficilissimo resistere. Il senso del brano ci investe con un impatto crescente lungo l’assolo, frammischiato alle dolci e melanconiche frasi che fanno da cassa da risonanza a quanto appena meditato.

L’anima si tende e raggiunge, gradino dopo gradino, gli strati più puri del sentimento di nostalgia, le stanze più auliche che racchiudono i nostri ricordi più cari, le frontiere più alte delle nostre speranze, appunto.

Il tutto si spegne pian piano, lasciandoci tesi ad altezze incommensurabili ed esattamente come in Time a richiamare a noi stessi definitivamente al concetto finale:

Thought I’d something more to say …