Welcome To The Machine

Il brano, appartenente all’album Wish You Were Here, si apre con l’incedere metallico della macchina che trova nei suoi organi vitali, quali pistoni e stantuffi sbuffanti, un accattivante e quasi ipnotico motivo sonoro.

Già, la macchina.
Quel complesso di situazioni che si cibano del tuo essere e condizionano in tutto e per tutto la tua vita; che ci vuole numeri omologati per poter a nostra volta essere alimento della sua voracità.

In Welcome To The Machine il messaggio che la band vuole lanciare, dopo l’esperienza di The Dark Side Of The Moon e del conseguente show business, è che il mondo del profitto e della musica sono contrapposti e quindi incompatibili. L’uno nega l’altro, ma insieme si rincorrono disegnando una traiettoria spiraliforme, che trascina l’artista sull’orlo del baratro psicologico.

Tale tematica sarà ripresa in maniera ancora più diretta nel brano Have A Cigar del medesimo album, che sarà oggetto di un altro post dedicato.

Il titolo del pezzo ha il sapore beffardo dell’ineluttabilità della questione e lascia intendere che anche tutti noi facciamo parte della macchina.
Questo concetto è ben espresso dai Pink Floyd anche attraverso le sonorità ipnotizzanti del pezzo.

La chitarra di David apre con due accordi acustici cristallini per avvisarci che la macchina sta arrivando ed è bene prepararci perché nessuno di noi potrà evitarla.

Nel contempo Roger con il basso descrive e mima egregiamente il passo metallico cadenzato del mostro meccanico che avanza.

È David incaricato del cantato, quasi monotonale, capace di riversarci addosso l’angoscia dell’inizio degli eventi che ci coinvolgerà senza via di scampo.

Le incursioni di Rick con il synth iniziano a farsi sentire nella prima parte, preludio di quello che accadrà da lì a poco.

Infatti, al 5° minuto circa, gli altri componenti della band lasciano strada al tastierista che accompagna il brano fino alla fine con un incedere mozzafiato, mentre David con la chitarra acustica dà il tempo alla melodia. Uno dei non rari esempi della genialità melodico-armonica di Rick, in grado di esaltare le idee musicali degli autori (in questo caso Roger) con arricchimenti troppe volte ingiustamente non riconosciuti a livello di crediti.

È la macchina che decide cosa pensiamo anche se sembra garantito il nostro libero arbitrio e questo i Pink Floyd lo esprimono chiaramente nel testo:

What did you dream?

It’s alright we told you what to dream


La perdita dell’amico Syd, sentimento e concetto cardine dell’intero album, e l’essere diventati una macchina da soldi per lo star system, ha stordito la band e portato alla genesi di tal consapevolezza, ma nonostante ciò risulta evidente la difficoltà di liberarsene.

Degno di nota è il video ufficiale della canzone, magistralmente ideato da Gerard Scarfe, abile a dare forma e colore alla macchina, pronta a fagocitarci e cibarsi di menti e corpi, nonostante un perdurante e rassicurante cielo blu presente durante tutto il filmato.

Pescando nell’infinito e stupefacente repertorio della band, ecco che affiora Welcome To The Machine in una versione live, dal mastodontico tour dell’88, che mi stordisce per la bellezza espressa.
David, nel rivolgere all’audience i versi del cantato quasi gridando, ci fa sognare durante lo svolgersi del brano, quando la sorpresa delle sorprese arriva al minuto 5:20 con un inizio turbinoso di sinth di Rick accompagnato da una magnifica batteria di Nick.
Wright, incredibilmente ispirato, ci regala un viaggio fatto di orizzonti dalle infinite sfumature oniriche, facendoci fluttuare di diritto in un gas aeriforme caricato elettricamente a formare quasi un blocco luminoso creato attraverso l’accostamento di vari colori musicali, che danno vita ad uno spazio intimamente possibile per il ristoro della nostra anima.
Le prospettive inusuali e le visioni sovrapposte e destabilizzanti date dalle aperture di sinth e batteria, accompagnate da una chitarra inedita, completano gli inganni sonori e ottici capaci di curare in autonomia il brano mettendo in un angolo la figura del paroliere.