Sorrow – Live 1994

L’esibizione live di Sorrow del 1994 all’Earls Court di Londra, corrisponde a undici minuti di piacevole stordimento e ad un viaggio sensoriale, dove musica e luce formano massa critica regalandoci qualcosa di sensazionale.

Ma andiamo per gradi.

Sorrow è un brano dell’album A Momentary Lapse Of Reason del 1987 e segna il ritorno di David, Rick e Nick sotto il nome Pink Floyd, ma senza Roger.

Tema del brano è il rimpianto per ciò che è stato e non sarà più, per ciò che ci si aspettava e non è successo, ed i testi di Gilmour sono eloquenti:

He’s haunted by the memory of a lost paradise

In his youth or a dream, he can’t be precise

He’s chained forever to a world that’s departed


Il brano inizia con un’intro di tastiera che, ammutolisce l’audience dell’Earls Court, fa vibrare ed entrare in risonanza qualsiasi cosa, dando la sensazione dell’incipiente arrivo di una fantastica e multicolore astronave che, dall’universo più remoto, è pronta ad atterrare e mostrarsi a noi in tutta la sua bellezza.

Il pubblico avverte distintamente che qualcosa di meraviglioso sta per avvenire e si prepara a catturare quanto di piacevole accadrà, con udito e vista caricati a mille.

La Stratocaster di David entra prepotente in scena con note decise e distorte, ed è subito chiara l’intenzione di spremerla a dovere, mentre dal palcoscenico si levano luci laser che, puntando al cielo, segnalano al firmamento che gli extraterrestri della musica sono lì, a Londra, a casa loro.

David lavora di tremolo e ci dona vibrazioni da manuale, mentre il pubblico è di fatto già in trance, investito prepotentemente da musica e luci multicolori che ornano il palco: l’astronave è appena atterrata.

Nessuno fiata.
Nessuno muove un muscolo.

Nick, con precisi colpi di batteria, dà il via al ritmo, con Rick in grande forma e con Guy che al basso ricama con abilità il pentagramma, mentre la voce di David fende sicura lo spazio che intercorre tra lui e il pubblico, azzerando le distanze, mentre il resto della band supporta la melodia, magnificamente rispettosa del titolo del brano.

Le tre coriste, eteree, accompagnano con un backing vocal da far accapponare la pelle ed i singulti iniziano a manifestarsi nelle nostre gole. Non ci siamo ancora ripresi dall’intro che all’improvviso un assolo, pulito e tagliente, di David squarcia la notte ad indicare a tutti i presenti qual è l’intenzione del brano.

Gilmour spicca al centro del palco, immobile, sicuro, a guidare questa meravigliosa performance, quando ecco che arriva il momento in cui tutti i membri della band, all’unisono, cantano insieme, e le luci avvolgono il pubblico in un caldo, abbacinante abbraccio, segno di condivisione della performance.

Quello che si presenta successivamente è qualcosa di meraviglioso. Infatti parte un assolo di chitarra che avvertiamo fino al midollo, mentre Rick si dimena sulle tastiere e Nick percuote la batteria quasi a volersi liberare da quell’abbraccio claustrofobico di pelli e piatti che lo circondano, e le dita di David, ipnotiche, si muovono sulle sei corde come ad intessere una tela per avviluppare noi tutti.

Come stimolato dall’unicità del momento a tirar fuori il meglio di sé, Nick ci regala – più unico che raro nella seconda parte della loro storia – un passaggio rullante davvero mozzafiato.

Ormai attoniti da tanta bellezza, l’astronave saluta tutti noi con le note di inizio brano, pronta a ripartire e lasciandoci un chiaro messaggio: Pink Floyd, Luce del Suono.