The Piper At The Gates Of Dawn

The Piper At The Gates Of Dawn è l’immaginifico titolo del primo LP targato Pink Floyd, ed implica un rinvio immediato all’elemento visivo dove la band, a trazione Syd Barrett, attua una codifica dell’immaginario per ottenere una ricostruzione del reale attraverso suoni e forme.
Senza ombra di dubbi, Barrett è il cervello della band, un personaggio con una creatività che sarebbe stato impossibile delimitare e le cui composizioni sono straripanti di contenuti.
Questo primo lavoro dei Pink Floyd fa sembrare ridicolo qualsiasi altro tentativo psichedelico di quell’epoca, riducendolo ad un mero capriccio formale tanto che, mettendolo a confronto con altre proposte teoricamente anticipatorie di quel periodo, risulta essere un monumento all’immaginazione e all’impegno avanguardista.
La sconfinata immaginazione di Syd diede origine a undici composizioni audaci e ricche di immagini provocatorie che, alterando la percezione dell’ascoltatore, misero in discussione la realtà preconcetta e provocano, come allora, inevitabilmente una riflessione. Di fatto non è possibile individuare una tendenza generale dell’album data la mescolanza di tecniche e stili, di immagini oniriche e surreali, che poggiano su un orizzonte degli eventi artificiale, obliquo, talvolta capovolto.
Il mondo alla rovescia di Syd genera la poesia dell’invisibile resa visibile dalla musica, in cui una struttura interna multicolore accresce il senso di meraviglia, di mistero, di vera e propria ammirazione. Al primo ascolto per qualcuno, o dopo ripetuti ascolti per taluni, si ha la netta sensazione che forme straordinarie, imprevedibili ed iridescenti, accompagnate da paesaggi in perenne metamorfosi, prendano vita da un pennello intinto direttamente sulla superficie liquida dei sogni, mettendo in dialogo conscio ed inconscio, anima e mente.

I brani dell’album, rappresentando racconti, sogni, ricordi lontani, sono realizzati con meticolosa attenzione e spesso attingono ad un profondo disagio esistenziale e ad un radicale dissenso sociale attraverso un linguaggio musicale di destabilizzante energia espressiva.
Ci troviamo così in cima a quel piano inclinato targato Pink Floyd che darà di fatto lo slancio ai nuovi futuri lavori, in cui il genio e l’estro barrettiano farà sempre capolino, indicando la via ai rimanenti componenti della band.
Con le sue immagini ruotate di 180°, The Piper è un’immersione nella musica eclettica. Già le prime note sono il richiamo, misterioso ed irresistibile con cui i Pink Floyd vogliono attirarci: una vera e propria iniziazione ad un’arte spiazzante e coinvolgente, un “altro mondo” che Syd ha costruito con raffinata cura ed enciclopedica sapienza, immergendo enigmi geniali in specchi d’acqua mentali.

La fanciullesca fiaba che a tratti emerge dall’LP, spesso magicamente cantata a due voci da Syd e Rick, ci fa sentire un po’ come Alice una volta che, attraversato lo specchio, si abbandona alla meraviglia: il grigio del mondo terreno è illuminato all’improvviso da una caleidoscopica lanterna magica che proietta, senza soluzioni di continuità, le passioni e le ossessioni di Syd.
L’invenzione del “mondo a parte” di Barrett trova il suo fondamento nell’edificazione della “città sperimentale” o forse del “cielo fantastico” che ci sovrasta.
Infatti brani come Astronomy Domine o Interstellar Overdrive ci proiettano nel vero viaggio dell’immaginario del nostro pifferaio, abitato da forme pure e silenziose, originate da una vera e propria tavolozza di luce che origina un mondo magico, dove il tempo sospeso è popolato da creature misteriose; ed è  fondamentalmente per questo motivo che è necessario durante l’ascolto dell’album lasciare l’abito grigio della ragione ed indossare il costume colorato e scintillante della fantasia.

La rivoluzione floydiana fu di quelle che cambiarono la percezione della musica stessa, allargandone i confini, accentuandone quella fluidità di visione propria dei precursori, dei geni.
Lo sguardo gettato dalla band all’interno della musica psichedelica esplose proprio con questo primo lavoro ufficiale del ’67, in visioni allo stesso tempo interiori ed esteriori, in suoni deformati dalla percezione e dalle pulsioni lisergiche, con una grande varietà di esperimenti e miscellanee. Non mancano composizioni dalle forme semiastratte, che sembrano create in un seminterrato colmo di alambicchi e sbuffi colorati che si sprigionano da ampolle fumanti, confermando la posizione eccentrica della band nel panorama musicale di allora.
Tutto ciò costituiva la fase decisiva del loro obliquo e radicale percorso creativo, con l’introduzione di sonorità e testi dal chiaro stampo onirico fino all’utilizzo di pentagrammi contraddistinti da spessi strati di materia musicale.
Ci si ritrova così ad ascoltare un LP che ha l’obiettivo di scardinare qualsiasi canone conformista, sostituendolo con tratti musicali originalmente onirici ove Syd, poeta evasivo ed inafferrabile, affermava un fatto con estrema convinzione per poi contemplarlo dubbiosamente; ed è proprio questo quel che accade durante tutto l’ascolto dell’album: una continua oscillazione e rimbalzo tra composizioni lisergiche, fantastiche e sognanti, misteri e bellezza nella vita di Syd Barrett.

I Pink Floyd si nutrirono di colore e palesarono il loro disinteresse per un paesaggio sonoro banale, puntando al gioco musicale creato dalla commistione di suoni.
Il risultato è un disco che racchiude, senza riuscire a contenerlo, uno spazio virtuale dentro cui l’ascoltatore fa un viaggio, un vero e proprio invito al nomadismo, dove i Floyd non si imposero come testimoni laterali della scena psichedelica ma come veri e propri protagonisti d’eccellenza.

Nei brani come The Gnome, The Scarecrow e Bike, la coesistenza di un infantilismo rivoluzionario e le immersioni visive indotte dalle musiche stranianti sono i campi d’azione principali, vere e proprie acque inesplorate per quell’epoca. Il susseguirsi dei brani, che sgorgano dalla puntina del giradischi, crea un iperrealistico ascensore le cui porte sembrano aprirsi di volta in volta su ambienti multicolore, dei veri e propri mini-universi mentali in cui perdersi.
In Lucifer Sam, Matilda Mother e Flaming il genio di Syd e la maestria degli altri tre musicisti mostrano l’impronta originale della loro personalità, con composizioni musicali che non suggeriscono l’emozione dell’attimo, ma danno un senso di durata e stabilità, sintatticamente limpide, dove un orgasmo di tastiere vorticose, giri di basso in picchiata di ottave, tintinnii e assoli di chitarra carichi di feedback conditi da cataclismi cosmici inebriano e mesmerizzano gli ascoltatori.

Nel brano Interstellar Overdrive, che su LP apre il lato B, i Pink Floyd accerchiano noi ascoltatori attuando la scelta di adoperare colori musicali dalle tinte forti e creano atmosfere sfalsate e divergenti, quasi una sfida a destrutturare la musica ricomponendola con padronanza performativa di qualità eccellente, una misteriosa decolorazione e successiva ri-colorazione del pentagramma.

Se riteniamo ammissibile l’assunto che il disco venga assimilato nel momento in cui chi lo ascolta partecipa alla sua metamorfosi, allora percepiamo distintamente che l’esondazione luminosa indotta corrisponda ad una ridefinizione del suono, che getta un ponte tra il pragmatico e l’irreale.

In conclusione possiamo dire che con un’imponente catena di capolavori onirici, The Piper è un sognante viaggio nell’immaginario di Syd, abitato da forme pure e silenziose, contraddistinto da una tavolozza sempre luminosa. È un mondo magico dove il tempo è sospeso, popolato da esseri fantastici che si muovono su pentagrammi che danno vita a linguaggi aperti, mentre le musiche inondano di luce e colore la nostra vita.
Con un’immaginazione lirica non immediatamente evidente perché spesso temperata da un senso di irriverente ironia, il disco allontana l’arte dei Pink Floyd dalla mera estrosità’ aneddotica e, nel contempo, salda il rapporto tra visioni e musica che risulta essere il tema portante  dove l’accostamento surreale di sonorità ed immagini permea in profondità i solchi del vinile.
Con undici brani caleidoscopici, scene visionarie di un’avanguardia sfalsata, permeata da immagini stratificate e geometrie compositive rigorose, capaci di indurci allo straniamento nella percezione della realtà, The Piper rappresenta, a pieno titolo, il primo affluente di quell’Endless River che ci ha accompagnato per quasi quarant’anni, forse il momento più sincero e importante di una carriera che vivrà spesso di luce riflessa, emanata proprio da questo faro, che illumina un mondo parallelo in cui la quotidianità privata e l’esser visionario dell’artista sono un tutt’uno e dove la nota musicale è già di per sé significato, e non richiede una chiosa per farsi comprensibile.

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