The Great Gig In The Sky

Come può un brano strumentale di una bellezza cosi struggente far provare, ad ogni ascolto, così tante sensazioni senza il proferire una sola parola?

L’intro di piano si trova lì, intarsiato nella nostra testa, con quegli accordi che esprimono così superbamente tutta quella delicatezza d’animo che contraddistingue Rick, il quale ha costruito su atmosfere rarefatte tutto il pezzo, che scorre ogni volta nel nostro cuore languidamente, con picchi di virtuosismo, raggiungendo vette inimmaginabili ai più.

Le armonie iniziali svelano senza indugio, agli attenti ascoltatori del monumento sonoro dei Pink Floyd, il segreto wrightiano e – per diretto riflesso – quello floydiano. L’esordio in Si minore promette continuità con Breathe (Reprise), e mette l’ascoltatore in una strana comfort zone di ascolto, quasi come pronto a proseguire il viaggio imbastito nella prima parte dell’album attraverso le narrazioni di Breathe e Time. Ma esattamente un attimo prima che si compia la temuta assuefazione ecco che una virata armonica in Si bemolle – inusuale e inaspettata – ci spalanca la porta verso un mondo del tutto diverso. Come attraversando un sentiero montano l’ignaro trekker scopre ad una svolta visioni paradisiache, ecco che l’ascolto del brano – in pochi tratti – si eleva su nuovi orizzonti armonici. Esterrefatti da tanta bellezza ci apprestiamo a godere a pieno dell’incedere sul tappeto che ci culla tra riverberi costruiti su nostalgici chiaroscuri, fino a scoprire l’apice dell’emozione, all’esordio della parte vocale di Clare.

Il brano è la narrazione stessa del ruolo di Rick Wright nella band. Rimane composto, da perfetto gentleman, al suo posto, dietro quei tasti bianchi e neri, a fissare quegli accordi che alternano armonie minori e maggiori come suoi figli appena nati, diversi eppure splendidamente avvinghiati. Sfiorando a malapena i tasti quasi con timore ma in realtà con decisione e con il cuore in mano. Come fossero al cosa più importante al mondo. Come fossero l’ultima cosa vista del mondo.
Sì, perché quelle note sul pentagramma descrivono Rick un milione di volte meglio di qualsiasi intervista o articolo, dicono cosa c’è nella sua anima e nel suo cuore. E descrivono cosa Rick ha lasciato a noi, un lascito scolpito 35 anni prima della sua dipartita, eppure così premonitore. L’elegia della morte che non cancella ma esalta il ricordo, che non attenua le energie e gli slanci ma li amplifica a dismisura. Che non affievolisce le emozioni ma ne esalta i tratti.

Esattamente questo è ora per noi il lascito di Rick Wright.

Volta dopo volta, ascolto dopo ascolto, lo vediamo suonare ed avvertiamo distintamente, che per tutta la durata della canzone, il piano altro non è che una estensione fisica del suo io, del suo pensiero, della sua sensibilità pinkfloydiana, sostanziale mezzo per esprimersi. E ci fa venire gli occhi lucidi mentre avvertiamo distinti brividi lungo la schiena.

E’ l’uomo sulla barca che ci parla, mentre attraversa il fiume dell’esistenza, pacato e tormentato allo stesso tempo. Anima essenziale eppure così sottile e delicata.

La sua esecuzione parla in modo chiaro delle sue visioni interiori, stese sullo spartito liquidamente, nelle quali ci immergiamo con tutta l’anima, avvicinandoci in tal modo il più possibile a lui.

Lui è l’artista che continuiamo a sentire accanto anche se sappiamo che non tornerà mai più e ci fa volare, mentre siamo prigionieri di una vita e di una routine quotidiana che ci rende infelici, ma sappiamo che la sua musica è sempre lì, pronta ad accoglierci e consolarci.

L’eredità che ha lasciato con questo brano, anche attraverso la splendida alleanza con Clare Torry, brilla come non mai e i suoi contributi sono frutto di sentimenti e come tali non hanno tempo. Semplicemente sono eterni ed ogni volta cerchiamo conforto in essi.

Le note del brano scorrono come onde che increspano un mare calmo al crepuscolo mentre i vocalizzi di Clare sembrano nuvole rigonfie all’orizzonte con sporadici lampi in lontananza, in perfetta sincronia con ogni picco di voce, e sulla nostra pelle è un susseguirsi di emozioni mentre lo stomaco si stringe ad ogni piccola variazione musicale.

Il genio di Rick non si esplica solo al pianoforte in questo pezzo. La tessitura armonica è completata da una splendida partitura all’organo Hammond, che rendono piena ed in crescendo l’esperienza di ascolto. Come pittore che strato su strato compone sulla tela il messaggio che proviene dalla sua anima, allo stesso modo Rick aggiunge e perfeziona la sua ispirata espressività con gusto ed equilibrio, senza mai strabordare in barocchismi eccessivi e sfiorando la perfezione compositiva assoluta.

Mentre il miracolo di Rick si squaderna in tutta la sua ineffabile e ineguagliabile dimensione, la slide di Gilmour, quasi in punta di piedi, accende le stelle in cielo una ad una, disegnando costellazioni mai viste, rendendo il firmamento The Great(est) Gig In The Sky e noi lo osserviamo incantati mentre siamo travolti da tanta bellezza.