One of My Turns/Don’t Leave Me Now

Questi due brani consecutivi dell’album The Wall sono a mio parere l’apice della forza espressiva lirico-musicale di Roger. Molto più di altri brani “centrali” del medesimo album o di brani precedenti e successivi della sua carriera di magnifico poeta pop, questa accoppiata rappresenta la maestria innata di Waters nell’utilizzare la musica come veicolo delle emozioni, dei sentimenti, delle idee.

La storia dietro questi due pezzi nel contesto del magnum opus watersiano è nota ai più: Pink cerca di consolarsi con una groupie dopo aver scoperto il tradimento della moglie e si lascia andare ad un momento di rabbia distruttiva che lo spinge nel profondo di uno stato depressivo e di abbandono che lascia spazio, da lì a poco, alla conversione oppressivo-nazista che domina la seconda parte dell’album.

I due pezzi, di fatto un tutt’uno, arrivano a circa metà dell’album, rappresentando così anche lo scollinamento emotivo del protagonista tra la vita di “prima” e quella che seguirà, e iniziano con un’atmosfera che oserei definire tridimensionale. La magistrale produzione di Ezrin, David e Roger sfodera una commistione perfetta tra un’essenziale linea melodica al sintetizzatore e un recitato palpabile, solido, che esce letteralmente dalla linearità monodimensionale della traccia. L’atmosfera si inspessisce e si incupisce man mano che la protagonista tenta un approccio comunicativo con Pink fino a provocarne un’esplosione inevitabile. Possiamo quasi seguire muoversi nella stanza l’inconsapevole protagonista della scena mentre si parano chiare davanti a noi le espressioni, le appena accennate reazioni, i pensieri non detti, che accomunano la coppia e i suoi momenti quotidiani a molte storie note e vissute da ciascuno di noi.

E’ chiaro dall’esordio che Pink, attraverso l’interpretazione canora da brividi di Roger, non sta rivolgendosi alla groupie quando con una metafora tagliente rappresenta il decadimento del rapporto di coppia, ma alla moglie perduta e in fondo anche a se stesso:

Day after day, love turns grey like the skin of a dying man.

And night after night, you pretend it’s all right,

but I’ve grown older and you have grown colder and nothing is very much fun … anymore

Fino all’esplosione, appunto. E’ da quel punto che la meravigliosa (e nemmeno da lui stesso – secondo me – più eguagliata) vena compositiva di Roger, esaltata da una produzione musicale eccelsa, si manifesta compiutamente con un’armonia che rapisce letteralmente l’uditore in un vortice ritmico irresistibile. Il tappeto sonoro di chitarre e tastiere (notevole come al solito il contributo al pianoforte di Rick) solleva e sottolinea le emozioni ora pienamente espresse del protagonista.

Il finale di One of My Turns, che fa da ponte al brano successivo, arriva quasi inaspettato. Quasi come a rappresentare il rendersi conto improvviso, da parte di Pink, di aver superato l’ammissibile, di aver scavallato il socialmente accettabile, di aver distrutto l’ordinaria vita di una annoiata e dissociata rockstar per dar vita alla sua spaventosa spirale autodistruttiva. Questa consapevolezza, che arriva fredda come il ghiaccio, è solidificata dal verso:

Why are you running away?

scolpito nell’improvviso silenziarsi del ricco arrangiamento.

Ciò che segue in Don’t Leave Me Now sono le tenebre della psiche. L’uomo (auto)abbandonato si ritrova nel profondo dei propri incubi a chiedersi, in maniera quasi bambinesca, il perché di questi accadimenti cercando di recuperare l’irrecuperabile con giustificazioni a metà tra l’imbarazzante e il terrificante. Le liriche sono solo apparentemente un dolce tentativo di riappacificazione, mentre sono in realtà un chiaro richiamo al proprio processo di elaborazione del lutto.

L’armonia sottostante è a dir poco impressionante: il contrappunto alla chitarra riverberata di David è costituito da pochi, precisi e monotonali tocchi di sintetizzatore il cui risultato è quello di portare l’ascoltatore a sentire sulla propria pelle le vibrazioni depressive dell’animo di Pink.

E poi l’uscita. Commovente, tesa, emozionale, difficilmente resistibile. La chitarra urla e piange in un’atmosfera che si eleva sempre più strizzando goccia dopo goccia dalla nostra anima una profonda empatia verso il protagonista. Il richiamo ripetitivo e assillante verso la propria amata (o anche verso la propria infanzia?) è straziante e solo la virata armonica finale, magistrale pugnalata a cuori già in affanno, ci dà un apparente sollievo, velocemente dissolto, tuttavia, da ciò che viene dopo ….